Mi chiamo Francesco Giuseppe Zago, in arte Frenz Beps.
Sono un fotografo professionista, laureando in Economia a Trieste, Marketing e Sales Manager per una società Americana di FF&E. Sono nato a Trieste nel 1994.
Ho passato la mia gioventù a Gorizia, dove ho vissuto con la mia famiglia per poi tornare a Trieste per frequentare l’Università.
Sono da sempre stato un grande osservatore e mi reputo una persona sensibile: sono affascinato dagli esseri umani, da quello che sono in grado di fare e dalla loro creatività.
Ho sempre avuto una grande fantasia e ho cercato di esprimermi artisticamente da quando ho 14 anni: pensavo che la mia strada fosse la musica, a differenza dei miei coetanei io vivevo di vecchi dischi, collezionavo vinili, mi piaceva il rock and roll, sognavo una vita da rockstar.
Così ho preso in mano una chitarra, ma non ero assai portato, anche se la passione era molta: la musica è tutt’oggi un elemento importante della mia fotografia, perché racconta una storia. Ogni disco è come un libro che parla di emozioni, paure, rimpianti e da questa convinzione sono partito sperimentando nuovi modi di esprimermi.
Ero alla fine delle superiori, scrivevo racconti un po’ tristi e qualche poesia d’amore. Mi piaceva molto raccontare scene verosimili, ma che in realtà non esistevano, proiettavo sulla realtà i miei sentimenti imbrigliandoli su pezzi di carta.
Ma ancora non ero soddisfatto e a un certo punto, quasi per caso, mi son trovato una vecchia macchina fotografica sotto mano: amore a prima vista! Non sono mai stato un grande fan di libri e corsi, quanto di pratica e passione: ho dedicato giorni interi a sperimentare, improvvisare, migliorare, fino a capire quello che mi sarebbe piaciuto fare con la fotografia.
Un percorso lento e non sempre lineare, soprattutto perchè quando sono partito non avevo idea di quello che sarebbe successo, di come sarei maturato di come sarei diventato, perché no, un artista piuttosto che un fotografo.
L’unica costante è stata l’elemento umano: l’essere umano è troppo affascinante per non essere descritto in ogni sua gloria e miseria, così mi concentrai sempre di più sui ritratti.
Arrivato a Trieste, per racimolare qualche soldo e pagare l’affitto, mi sono improvvisato fotografo nei locali. Un’esperienza incredibilmente formativa, dove ho imparato a lavorare in fretta e a essere puntuale nelle scadenze. E poi questo lavoro mi dava la possibilità di entrare in contatto con moltissime persone, osservandole anche per ore da dietro un tele obiettivo e studiarle, fantasticando sulle loro storie che mai avrei saputo realmente.
Col tempo ho avuto la fortuna di incontrare persone rimaste affascinate dal mio stile, in un momento in cui io stesso non avrei saputo come descriverlo: da lì è stato un volano verso quello che sono oggi, attraverso pubblicità, servizi di moda, grandi eventi e concerti. E poi i viaggi, la scelta di allacciare un forte legame col passato riscoprendo la fotografia istantanea e le ottiche analogiche: tutti aspetti fondamentali della mia fotografia senza i quali non sarei Frenz Beps.
Non ricordo bene come è nato questo pseudonimo, probabilmente da un errore di battitura e da un bisogno spasmodico di distinguersi, di emergere, di lasciarsi alle spalle le ferite di un’adolescenza molto difficile.
Il 2017 segna un giro di boa essendo il mio primo anno da professionista effettivo.
A questo punto, dover scrivere una biografia è difficile, è tutto una grande pagina bianca, un treno in partenza: assieme a me ho una valigia di esperienze e ricordi, e la consapevolezza di voler raccontare storie facendo riflettere l’osservatore attraverso immagini e parole.
Oggi il mio stile presenta colori freddi e sfumature molto intense; come già accennato è forte l’integrazione con la fotografia istantanea e la presenza di molte simbologie nelle mie fotografie. Per i ritratti prediligo il bianco e nero, con tratti molto duri e un costante gioco di luci e ombre.

Per Le vie delle Foto porto “La rivincita delle ombre”.

Si tratta di un progetto trasversale tra fotografia e letteratura.
La fotografia è da sempre espressione di luce, un fascio luminoso stampato su pellicola che immortala un momento, un’emozione.
Ma cosa succederebbe se una macchina fotografica raccogliesse esclusivamente le ombre?
L’ombra è quella parte celata della nostra anima, che però ci segue sempre in silenzio, ma vigile: raccogliendo le nostre sensazioni più represse, ma allo stesso tempo più spontanee.
Il fotografo dialoga con queste ombre, ascoltando le loro grida, i loro lamenti, portando a nudo indirettamente le paure e le miserie di ogni essere umano: ogni ritratto racconta una storia, ricollegabile a una condizione esistenziale o a un’inquietudine repressa.
Il bianco e nero è stato scelto per la sua essenzialità e tutti i ritratti sono realizzati su un set artigianale.
Importante è l’elemento grottesco, quasi disturbante, di alcuni oggetti all’interno della fotografia che rubano quasi la scena al soggetto principale, rappresentando in maniera simbolica uno dei mali che affliggono la nostra società.