Nasco al Burlo Garofalo di Trieste il 03 dicembre 1975. Il mio primo approccio con il mondo della fotografia è da semplice osservatore: ero poco più che un bambino, quando le mie mani toccavano le vecchie “Polaroid” e i miei occhi cercavano di memorizzare il volto del mio papà, in modo da essere pronto a riabbracciarlo dopo lunghi mesi di navigazione. Ed è forse già in quei momenti che, inconsciamente, ho capito la forza e l’importanza della fotografia.
Arrivano gli anni degli studi, durante i quali “scopro” i segreti della partita doppia e “comprendo” che l’iva non costituisce né un costo, né un ricavo; metto a frutto queste conoscenze, che mi permettono di svolgere al meglio il mio attuale lavoro, senza mai dimenticare il sogno ben custodito in un cassetto.
Nel 2001 decido di acquistare la mia prima reflex “semiautomatica” da caricare con le intramontabili 35 mm, cartucce inseparabili nel mio primo importante viaggio attraverso le polverose strade del Messico.
Uno scatto a pellicola conserva ancora oggi, nell’era digitale, qualcosa di magico e di unico, perché ogni singolo scatto resta impresso nella memoria fotografica prima di vederlo prendere vita sulla carta stampata.
La magia e l’intensità di uno di questi scatti, fatto all’alba in una spiaggia di Pie de la Cuesta, mi ha sussurrato di non smettere di fotografare e di sognare.

Per Le vie delle Foto 2017 porto “Toscana: tra territorio e spiritualità”.

Mi sono trovato davanti a due porte e tre scelte: scegliere di aprire la porta “della sicurezza” che mi avrebbe guidato verso un terreno sicuro, privo di insidie; oppure scegliere la porta “della prospettiva” che mi avrebbe catapultato verso un percorso nuovo, ricco di nuove e inedite sensazioni; oppure di non aprire nessuna porta, scegliendo l’oblio dell’incertezza, ripercorrendo a ritroso i passi fino a quel momento compiuti.
Ho scelto di aprire la porta “della prospettiva” perché un territorio come quello della Toscana merita di essere osservato con diversi e nuovi punti di vista: ammirare torri che si stagliano imponenti verso l’infinito, trovare figure geometriche a contenere il cielo in una stanza, rubare scorci di vita quotidiana, trovarsi dinanzi ad altre porte chiuse che non chiedono che di essere aperte.
Dietro a una di queste porte ho trovato un mondo antico, sospeso tra storia e spiritualità, ancora fortemente radicato nel nostro territorio. La scena sembra una di quelle raffigurate in un antico dipinto a olio: la ritualità di un monaco benedettino intento ad allestire la mensa del pranzo domenicale.
Ho atteso pazientemente che la messa terminasse e che i fedeli scemassero dall’Abbazia, per poter assaporare momenti di tranquillità e di pace; non c’è un posto al mondo più tranquillo di un luogo di culto, che sia questo una Chiesa o un Tempio, svuotato dalla presenza fisica dei suoi abituali visitatori, all’interno del quale si può trovare se stessi.
Dopo pochi, ma interminabili momenti di profondità interiore, un fascio di luce ha catturato la mia attenzione, ricordandomi quanto fragili sono le cose materiali su questa Terra, che non bisogna soffermarsi sulle quotidianità della vita, perché un evento fortuito come un fulmine che può far crollare il campanile sul tetto di un’Abbazia, può far allargare il tuo pensiero, superando stereotipi e false certezze.
Alla fine del viaggio ho capito che la porta “della prospettiva” ti può portare a cogliere tutte le bellezze che la vita sa offrire, lasciando lo sguardo libero di galoppare verso orizzonti lontani, dove paesaggi di un’incantevole bellezza, a volte, possono fondersi con tracce lasciate durante il nostro passaggio.
Noi dobbiamo essere liberi di respirare, di osservare, di amare; solo così possiamo essere pronti a cogliere tutte le sfumature cromatiche che vivono attorno a noi.