Sono nato nel 1977 a Ivrea.
Da bambino mi sono trasferito a Buttrio (UD) con la famiglia. Proprio in questo periodo, all’età di 14 anni, ho avuto il primo approccio autodidatta alla fotografia scattando su macchine fotografiche 35mm quella che al giorno d’oggi si chiama “street photography”. Nel 2002 ho fatto il salto al digitale con la mia prima macchina senza rullino, una Nikon da ben 2 megapixel. Da allora ho dato libero sfogo alla mia creatività, spaziando in diversi campi della fotografia e della post-produzione.
Non ho mai fatto alcun corso, ma ritengo che aver imparato a scattare dall’analogico mi abbia dato una consapevolezza fotografica e le nozioni tecniche adatte per approcciarmi al digitale in maniera naturale. Inoltre, ho imparato a gestire la post-produzione (che ritengo essere necessaria nello “sviluppo” di un negativo digitale) per far si che le mie foto siano il più realistiche possibile, e ultimamente anche il montaggio video.
Dal 2009, oltre a realizzare reportage di eventi, cerimonie e motorsport, ho iniziato a praticare l’Urbex (“urban exploration”, esplorazione urbana) un’attività che consiste nel visitare luoghi dimenticati e abbandonati, quali possono essere siti industriali dismessi, castelli, ville, borghi, e testimoniare ciò che vedo attraverso le mie fotografie. Questa attività mi ha permesso di entrare in una sorta di macchina del tempo: poter entrare nelle vecchie industrie del boom economico italiano, visitare luoghi ormai dimenticati come i manicomi, camminare tra le stanze di ville settecentesche senza più padroni e ospiti, scoprire giocattoli di bambini che forse ora sono nonni, attrezzi di lavori ormai inesistenti. Tutto questo con l’unica regola di non toccare nulla, ma solo fotografare. E portare a casa un’immagine di un luogo che forse già domani potrà scomparire.
Attualmente sono amministratore di un gruppo di appassionati di tale attività, chiamato “Urbex Italia”. La mia missione è dare visibilità a questa branca della fotografia e dare una cultura di valorizzazione storica delle realtà urbane anche alle nuove generazioni.
Vivo a Pavia con la mia famiglia, dopo 26 anni dal primo rullino acquistato ormai la fotografia è una componente inserita nel mio dna e le mie foto saranno forse la più bella eredità che lascerò alle mie figlie.
Ancora oggi in borsa tengo la mia prima macchina con un rullino sempre carico. Ogni tanto, di nascosto, scatto una foto in bianco/nero ai miei amici o alle persone amate. E torno ragazzino.

Per Le vie delle Foto 2017 porto “Mancanze”.

Immaginate una casa costruita nel 1800. Ora aggiungeteci l’arredamento, la famiglia che ci vive all’interno, gli accessori, gli eventuali animali, i rumori, gli odori. Immaginate questo quadro familiare, che si sviluppa di generazione in generazione, sempre dentro quella casa.
Ora provate a immaginare di far scomparire le persone all’interno della casa. Immaginate di far passare anche un secolo, senza che nessuno più ci viva in quella casa. E immaginate, nel 2017, di aprire quella porta d’ingresso ed entrare lì dentro. Di sicuro tutto sarà rovinato dal tempo, ma come vi sentireste?

Ora fate un salto nello spazio e immaginate una fabbrica dove a inizio secolo ci lavoravano migliaia di operai, una di quelle fabbriche che trainavano l’economia italiana. Poi per un motivo o per l’altro immaginate che è stata chiusa, i macchinari smantellati. E voi, nel 2017, entrate in quelle immense fonderie vuote, o officine con dozzine di banchi da lavoro. Potete sentire ancora l’odore del metallo e i trucioli di chi 50 anni fa ha lavorato l’ultimo pezzo sul tornio.

Questi sono solo due esempi di ciò che provo io facendo urbex. E sono raccontati in 8 fotografie tra le più significative del mio ultimo anno.
Ciò che unisce tutte queste fotografie, oltre al fatto che sono scattate tutte in luoghi abbandonati, è che danno una sensazione che manchi sempre qualcosa, un soggetto: appunto “Mancanze”.
Manca il bambino con la sua bicicletta, mancano i pazienti sui letti di un ospedale, manca un neonato dentro una culla o il vino nelle bottiglie.
È la testimonianza che il tempo scorre e porta inesorabilmente a consumare anche i luoghi più storici della nostra Italia. Ognuno di noi ogni giorno andando al lavoro, a scuola, a fare la spesa, passa davanti a una villa, una fabbrica o qualcosa di abbandonato. E il nostro cervello tende a non considerare questo edificio, lo elabora come un “buco” nello spazio di una città: eppure al suo interno ci sono ancora tante cose e spesso anche persone meno fortunate di noi.

Entrare in questi posti è quasi sempre complesso, la fotografia in ambito urbex è molto “sofferta”: si lavora in spazi pericolanti, sporchi, spesso bui e umidi, a contatto con materiali nocivi. Alcune volte si fanno strani incontri, altre volte si vedono strane cose, altre volte si rischia seriamente di farsi male o cadere nel vuoto, altre volte si chiacchiera con un senzatetto e magari ci si scambia una sigaretta. Bisogna essere sempre pronti a ogni evenienza, ma sempre ci si cala in un mondo parallelo dove sembra che il tempo abbia fermato tutto, un mondo che fa riflettere.
Di sicuro di ogni posto che ho visitato ho un aneddoto perché ogni posto è speciale e diverso dall’altro.
Sarò lieto di raccontarvi quanto i fotografi urbex si sporcano, si stupiscono, hanno paura, sentono l’adrenalina, piangono o si innamorano di ciò che vedono, si nascondono, lavorano in silenzio, entrano nel panico quando rischiano di perdersi, amplificano i sensi stando sempre pronti a scappare con tutta l’attrezzatura.
Tutto questo per portare a casa dei pezzi di storia rinchiusi in alcune foto.