Sono Patrik Ongaro nato a Cortina D’ampezzo il 3 gennaio 1975.
Vivo a Selva di Cadore nel cuore delle Dolomiti, di professione sono albergatore ma ho tantissimi interessi e cerco di coltivarli tutti.
La passione per la fotografia è uno dei miei tanti hobby, come anche la scultura, la montagna, la moto e tanto altro ancora.
Il mio viaggio nel mondo della fotografia nasce da un regalo di compleanno: una MINOLTA a rullino che mi ha fatto scoprire una certa predisposizione nello scattare belle foto e nel far vedere le cose da un’altra prospettiva, la mia.

Come tutti ho iniziato a usare la macchina per immortalare momenti della mia vita, ricordi che un giorno avrei rivissuto guardando quegli scatti, la mia passione per la montagna poi mi ha portato a vedere orrizzonti diversi, luoghi senza fine, che volevo condividere per la loro bellezza, tanto immensa che sentivo non poter contenere e non dover nemmeno tenere solo per me.
Così catalizzare quella meravigliosa energia in una foto, per poter riempire anche l’anima di chi la guarda, è stato quasi un gesto naturale e spontaneo.
Ciò che fotografo è qualcosa che prima è vissuto con emozione, poi fotografato per far riaffiorare quelle stesse emozioni e infine per poter condividere con tutti la potente energia vissuta in quegli istanti.

“Il cammino che ho fatto per dar voce alla mia anima” è il titolo di questo percorso che ho deciso di illustrarvi in pochi scatti, quegli scatti che hanno fermato in un’immagine quel cammino che ha portato a farmi scoprire le parti più profonde di me, che ha fatto parlare e conoscere a me stesso la mia anima e la mia spiritualità.

Questa scoperta mi ha fatto abbandonare la religione alla quale non credevo e comunque mi stava troppo stretta per come ce l’hanno confezionata e il momento della consapevolezza e del vero contatto con la mia anima è avvenuto con l’alba fotografata in Marmolada.

Dopo una salita di 2 ore con gli sci d’alpinismo in una bufera di neve trasportata dal vento che soffiava a 80Km/h e con una temperatura di -23, mi sono trovato inginocchiato nella neve a pigiare con gli incisivi per scattare le foto perché le dita non le sentivo più e non riuscivo nemmeno a togliere le mani da sotto le ascelle. A un tratto il tempo si è fermato, avvolto nell’arancione del “enrosadira”, che di solito dura pochi minuti. Mi sono perso in un luogo atemporale, dove tutto aveva un senso, dove tutto era giusto, dove io non avevo più bisogno di risposte…

Non mi sono mai considerato un fotografo, sono gli altri fotografi che mi hanno riconosciuto dei buoni scatti. Ricorderò sempre il commento di un fotografo a una mia foto, fatta durante un’alba dal Monte Civetta verso il Monte Pelmo, con una delle prime HP digitali: mentre io mi scusavo per la qualità dell’immagine, lui disse “non è la macchina che fa la foto, è il fotografo, e questa è stupenda”.

Fu la prima volta che mi sentii chiamare “fotografo”.